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sabato 1 maggio 2021

#liberacondivisione - “RESTITUITECI I POSTI DI LAVORO CHE CI AVETE RUBATO, bis” - Bastiàn Contrari


RESTITUITECI I POSTI DI LAVORO  CHE CI AVETE RUBATO, bis

 


[...] Finché non saranno considerati beni di prima necessità quelli che soddisfino la cura della Persona a partire dalle sue relazioni: iniziando dalla scuola, proseguendo con la cura dei minori, con il sostegno alle famiglie monogenitoriali – che non significa offrire bonus e parcheggi-bebè, ma supporti nell’organizzazione familiare in senso fisico e umano -, con adeguata assistenza a portatori di handicap e alle loro famiglie, con l’accesso a supporti psicologici fruibili tanto quanto...

Salute, come sempre a tutti voi, Pirati: Pirati di Radio, di Terra e di Rete…
Sono sempre eli the worst, la mia rubrica Bastian Contrario….
Già, mai come nell’ultimo periodo mi è stato necessario avere ben chiaro questo concetto, questo titolo col quale sono stata descritta, ragazzina, nel quale mi identifico da adulta.
Perché rimarcare una cosa quasi banale come il titolo del proprio spazio radiofonico?

Perché proprio in questo titolo salvaguardo la mia libertà di pensiero e di espressione, il mio essere controcorrente non in modo obbligato o per partito preso, ma per visione altra delle cose, per opinioni lontane dall’opinione diffusa, cosa che non significa che io mi ponga in modo aggressivo o denigratorio con le posizioni degli altri, magari immersi in una realtà diversa dalla mia, o in obbiettivi diversi dai miei. Mi pongo però con la mia visione e con le mie riflessioni e speranze, anche quando queste possano essere assolutamente non condivise da altri e probabilmente anche con validi motivi.
Questo, però, non mi è sufficiente a spingermi a voler compiacere chi mi ospita, cercando ed esternando considerazioni diverse da quelle che prendono vita tra i meandri della mia mente .

Quando il mio Bastian Contrario era solo scialuppa di Radio Pirata – la Radio nella Radio, mi era più facile, lo ammetto, il mio bordeggio controcorrente.

La Ciurma ha ruoli e competenze così settoriali da non navigare mai in scia gli uni con gli altri.

Come navigatori solitari si può esprimere con maggior libertà un pensiero per quanto individuale esso sia, ma ora che il mio viaggiare approda in realtà dalle voci molteplici ma coerenti tra loro… è davvero un atto di coraggio, sfrontatezza o saldezza, continuare a dire la mia.

Fatta questa premessa, oggi, dove vi porterò con il mio bordeggio? Da dove partiremo, ma soprattutto, dove approderemo tra racconti, riflessioni e considerazioni?
Salite a bordo, aprite il cuore e lasciate alla deriva i pregiudizi…

In questa puntata, ripercorrerò concetti già espressi in passato, agli esordi di Bastiàn Contrario: non era ancora arrivato il covid, né erano state attuate politiche pesanti ed esplicitamente limitative nei confronti di quello che per la nostra Costituzione dovrebbe essere un requisito base per il nostro Paese: il lavoro.

Ora, io non vorrei apparire lontana dalle ristrettezze e dalle preoccupazioni cui ci ha posti carponi questa pandemia, e inutile che ripeta ciò che già tutti sappiamo, e non sia mai che io mi esprima a discapito delle necessità oggettive di sopravvivenza e serenità di ciascuno, ma, come nessun altro credo, non ho in mano la soluzione per tanta crisi.

Una cosa però desidero sottolinearla una volta in più, così come ho fatto nella puntata “Bios e etica o forse normalità” dedicata alle considerazioni relative a un ritorno alla situazione antecedente al covid: vorrei ricordare a tutti che se non si cambiano prospettive e modalità, sarà difficile ottenere risultati di segno diverso da quelli già sperimentati, che finché il concetto di profitto e di commercio sarà prioritario al concetto di benessere della Persona, sarà un navigare ben più controcorrente del mio, un navigare contro il senso stesso della Vita.
Finché non saranno considerati beni di prima necessità quelli che soddisfino la cura della Persona a partire dalle sue relazioni: iniziando dalla scuola, proseguendo con la cura dei minori, con il sostegno alle famiglie monogenitoriali – che non significa offrire bonus e parcheggi-bebè, ma supporti nell’organizzazione familiare in senso fisico e umano -, con adeguata assistenza a portatori di handicap e alle loro famiglie,  con l’accesso a supporti psicologici fruibili tanto quanto il medico di base, con l’aiuto nelle pulizie per persone anziane o famigli numerose, con l’accudimento degli anziani, con la formazione culturale, con gli artisti, i musicisti, gli attori, con la mediazione familiare, considerando tutte questa attività come redditizie e non come perdita… soprattutto quando sappiamo che ci sono magazzini abbandonati tanto quanto magazzini pieni di roba da buttare e non vengono considerati perdita!
Ma quanti ritardi ci sono in ambito burocratico e legale?

Ma posti di lavoro, no.

Ma quanto sfinimento c’è nelle corsie degli ospedali, anche a prescindere dal covid?
Ma posti di lavoro, no.

Se guardiamo indietro, e verosimilmente anche avanti, a meno che questa crisi non abbia davvero rinsavito qualcuno, in modo sconcertante abbiamo assistito a un continuo tentativo di lanciare e rilanciare centri commerciali ed edilizia al grido “Creiamo nuovi posti di lavoro per contrastare la crisi”: non sto sparando a zero: dalle mie parti ho già visto più di un nuovo allestimento commerciale pronto a fare la sua passerella.

Non trovate già in questo un paradossale…paradosso?

Si lamenta una forte mancanza di disponibilità economica, attualmente aggravata dalle restrizioni collegate alla pandemia e cosa si propone, una volta di più? Di incentivare gli acquisti. 

Logica ferrea, direi.
Anzi, inossidabile!

Propongo di procedere per punti: immaginiamo che tutti gli italiani mentano e che nelle loto tasche si riproduca magicamente e segretamente del denaro e che quindi siano tutti disposti all’acquisto: ma che capacità di assorbimento può avere ciascun acquirente? 

Quante paia di scarpe può indossare una persona, di quanti computer può aver bisogno, quante coperte può mettere sul letto e dentro gli armadi?

Insomma, ci sarà prima o poi una saturazione se non dell’avidità, almeno dello spazio utile di una casa?

Se poi spostiamo un pelino l’attenzione e ci concentriamo non più sul mero potere d’acquisto, ma sull’impatto ambientale…beh, a me vengono i brividi: pensiamo solo al termine CONSUMISMO.

Avete mai pensato cosa sottende questo termine la cui radice sta nel verbo “consumare”?

Dal dizionario del Corriere della Sera online: Consumare: Usare qualcosa fino al suo esaurimento; logorarlo a poco a poco; dilapidare.

Cosa consumiamo per ogni oggetto inutile e superfluo che acquistiamo? 

Materie prime, denaro e tempo. Ma se le materie prime non sempre ci sono chiare o care, se il denaro è qualcosa che va e viene e che, lavorando, possiamo ricreare, c’è qualcosa a livello personale del tutto non ripristinabile. Il tempo.
Quello è il nostro, la nostra stessa Vita: quello che dedichiamo a lavorare per acquistare qualcosa che ci sembra indispensabile – anche se dovessimo sapere a priori che ne faremo uso una singola volta.

E se non bastasse consumare parte della nostra Vita per poter disporre del denaro necessario a soddisfare quel tal desiderio, si userà sempre il nostro tempo per andare, scegliere e poi curare e conservare quella tal cosa, a prescindere appunto, dalla sua importanza.

Si sa già se i centri commerciali riprenderanno a fare orari estesi e le domeniche aperte…?Che vi devo dire? Io preferisco evitare di andare in quei giorni che corrispondono a festività… Sarà la memoria delle domeniche di quando ero ragazzina, tanto attese per stare con gli amici e andare a ballare o a fare qualche gita, o per pranzare con zii e cugini ?

Ma a prescindere dall’egemonia dei vari Amazon, Zalandro & C. che ci recapitano a casa ogni cosa, spesso senza spese di spedizione, effettuando ordini negli orari più disparati, davvero i negozi vendevano di più restando aperti alla domenica? 
Mi spiego meglio: se ha un senso che attività di salvaguardia della salute – la quale richiede supporto in modo inatteso ed estemporaneo, senza curarsi di rispettare pause pranzo o riposo notturno – e quelle di ristorazione siano aperte più di altre, che la fame e la sete richiedono soddisfazione più volte al giorno e alla settimana e quindi più è ampio il loro orario di apertura e più leccornie possono essere somministrate, mi chiedo se sia altrettanto redditizio proporre altri articoli: se mi serve una tuta ne comprerò forse due se i negozi saranno aperti anche alla domenica? Direi proprio di no. 

Si sprecheranno invece più energia elettrica per illuminareambienti e vetrine, per attivare riscaldamenti o climatizzatori, e più detersivi per fare un servizio di pulizia in più. 
Senza considerare che forse ci sono ancora cassieri, commesse e direttori che preferirebbero almeno poter scegliere se lavorare o meno la domenica.

Proseguiamo brevemente.

In ambito ecologista, più domeniche aperte: più inquinamento da auto.
Più inquinamento, più malattie connesse le cui spese mediche graveranno sulla comunità.

A livello urbanistico, ulteriori mostri di cemento e asfalto a far compagnia a tutti quei capannoni dismessi e abbandonati. Almeno venissero rigenerate strutture che rubano territorio e disgustano per la loro fatiscenza…

E nuove strade e rotonde con i prevedibili ingorghi con i conseguenti danni per la salute di chi in macchina respira troppo smog degli altri, per chi nelle abitazioni limitrofe dovrà inalarne sempre di più.

Capite perché mi sento davvero Bastian Contrario?
Ora ditemi: solo a me sembra tutto alla rovescia?

Posti di lavoro, che si identificano con la costruzione, l’allestimento, arredi e corredi, stoccaggio e vendita di beni di consumo, e che spesso si rivelano buchi nell’acqua: strutture nemmeno ultimate, ditte che anticipano spese e denari che non rientrano, operai non pagati e famiglie in difficoltà.
Magari il tutto nell’arco di un anno…

A logica, non c’è verità che suggerisca che a maggior offerta risponda un maggior numero di acquirenti!

Gli acquirenti sono sempre e solo quelli che più vengono dispersi nei vari punti vendita, meno introito possono apportare.

E’ vero, per non scrivere un papiro, ho parlato solo di commercio, esempio di una mentalità che purtroppo mi aspetto di rivedere in azione in breve.

Quello che mi aveva scaldato il cuore dell’immaginazione, alla stesura della prima puntata, era l’idea di veder riabilitati semplicissimi lavori, lavori umani, non specializzati e alla portata dignitosa di tutti.

I bigliettai in stazione, ad esempio…
I benzinai, anziché i selfservice… 
I custodi dei parcheggi…
I portinai dei grandi palazzi…
I fornitori di panini nelle scuole, anziché i distributori automatici..
Camerieri anziché maxi tablet per ordinare i pasti in certi luoghi…
Gli operatori dei centralini, anziché le voci preregistrate collegate a numerini…

E come dicevo, personale negli ospedali, sperando che si sia capito che poco contano marmi pregiati e grandi hall, che alzano le spese e riducono le assunzioni impedendo turni più umani e soddisfacente accudimento dei ricoverati.

Avete mai pensato a quanti posti lavoro siano stati cancellati dall’elettronica e dai motori?

Centralinisti e centraliniste: tutti!
Diagnostici meccanici.

Operai: catene sempre più specializzate nelle più svariate fabbriche.

Casellanti autostradali…

Fotografi spazzati via da semplici smartphone, ma qui non si tratta di datori di lavoro.

E quando si tratta di tagli boschivi? Immaginate solo la fatica e il tempo impiegati per tagliare a mano un singolo albero: oggi, in un paio d’ore si abbattono senza rispetto né per l’uomo né per l’albero, piante secolari a suon di seghe elettriche o a benzina. E quanti boscaioli in meno lavoreranno?

Sono piuttosto convinta del fatto che prima del covid non ci fossero più disoccupati di un tempo, ma solo troppi posti occupati a costo quasi zero dai macchinari.

Anni fa ho lavorato per un breve periodo in una ditta tessile:10 batteria di 12 telai funzionanti 24 ore su 24, una singola operaia per turno per ciascuna batteria, ossia dieci operaie per 120 telai!

Parlando ancora in lire, quanti milioni sarà costato ciascun telaio e quanti metri di stoffa sarà stato necessario produrre per ammortizzarne il costo e le spese elettriche del funzionamento?

Utilizzando telai semiautomatici, giusto per non rallentare troppo, a quante operaie sarebbe stato possibile dare lavoro,  un lavoro più pregiato ma anche più umano?

E come la metteremo con le piccole attività che devono adeguarsi agli studi di settore come se questi fossero sempre adeguati,  logici nelle loro richieste e pressioni e realistici nella loro visione delle cose e se già in passato la concezione tipo era “Se non ci sta dentro, è giusto che chiuda”?
Più potere di acquisto si ha, più si possono fare trattative e ottenere prezzi convenienti…convenienti per le multinazionali, che questo potere un onesto e dignitoso negozietto o laboratorio o ristorante a conduzione familiare non ce l’ha…e le attività chiudevano prima e sono crollate adesso.  

Per inciso, ogni volta che decidiamo di spendere anche un singolo euro, pensiamo a queste cose scegliendo le persone e non le macchine o le multinazionali: potremo regalare o ricevere un sorriso e sostenere una speranza…

E ora, però rivestirò appieno il mio ruolo di Bastian Contrario, andando dritta verso la meta, consapevole che più di qualcuno disapproverà le mie considerazioni, ma che le esprima o no, tali restano, forse condivisibili, forse da ridiscutere, forse da riprovare.

Come Tutti, credo, non ho chiare le politiche che il Governo vorrà giocarsi per rimettere in sesto l’economia del Paese.

Fermo restando che per me l’errore è stato quello iniziale di non congelare tutte le spese fisse insostenibili senza un lavoro e che perdite condivise e imparziali non avrebbero esacerbato gli animi, cosa accadrà adesso proprio non lo so: un po’ perché,  come in molti sapete, non amo farmi ingoiare dai tg e dai gr con la loro dose di pesantezza e sfiducia nel futuro e nella Vita, un po’ perché credo che anche il Governo potrà solo scommettere sulle future sorti economiche e lavorative. E di certo le risposte non le ho io, anche se ho il timore che perseguendo dinamiche sempre uguali a se stesse, come detto poco fa, i risultati non possano variare.

Comunque su due cose il becco lo voglio mettere, anche se in modo non mirato al futuro.

Scuola e lavoro. Praticamente una barzelletta!

Che cosa lega la scuola al mondo del lavoro? Oltre ad essere ancora piuttosto limitata e antiquata la scuola, ma come può calarsi nelle dinamiche reali del lavoro? Con gli stage certo qualcosa si può anche fare. Ma qualcuno se lo ricorda il profumo dell’esperienza, l’apprendistato in bottega, nello studio o nei campi, in cui si assorbivano, più che imparare, i segreti della conoscenza e quindi della professione?

Le ore pagate a mance, magari. O le presenze nei periodi in cui “serviva” una mano in più…

E il lavoro davvero occasionale? Quello per il quale ti trovavi al posto giusto al momento giusto…

Ora , dare una mano è diventato praticamente illegale. 

Ora le prestazioni occasionali sono a numero chiuso.

Ma se io lavorassi di giorno in giorno con qualcuno diverso?

Se la mia famiglia fosse più in difficoltà di un’altra?

Lo so che il lavoro in regola dovrebbe, e ribadisco dovrebbe, garantire più il lavoratore che il datore di lavoro. Ma non mi sembra che ciò avvenga nei lavori a tempo determinato o tramite cooperativa.

Inoltre, il lavoro a tempo determinato…brrr che brrrrividi! Come si fa a proporre lavori con contratti del genere e a ritenerli leciti e legali?

Se avrò una casa, il mutuo o l’affitto saranno da pagare tutti i mesi, così come le bollette.

Se avrò famiglia, i miei figli dovranno essere nutriti e vestiti tutti i giorni.
Se mi impegnerò per un acquisto, dovrò avere la disponibilità necessaria o la certezza di poter far fronte alle rate.
…e poi ci si lamenta dei ragazzi che restano troppo a lungo in famiglia!!!

Certo, lo so benissimo che nessuna azienda può garantire di essere imperitura!

Ma se proprio deve impedirmi di fare progetti, cadrò insieme a lei nell’eventualità che ciò accada, non venendo sconfitta in partenza!

Da qualche parte le cose devono cambiare: poggiarsi su sistemi già critici altrove mi sembra sciocco ed poco produttivo, anche se da anni vedo l’Italia ripetere sistematicamente gli errori altrui, quasi volesse accertarsi in prima persona della loro fallibilità.

Abbiamo fama di gente creativa e intraprendente: vorrei davvero che la prossima ripresa ci permettesse di sfoderare le nostre capacità senza troppe castrazioni burocratiche e fiscali, trovando metodi di reale tassazione percentuale. 
Vorrei vedere aziende incentivate all’assunzione piuttosto che sgravate con operatori e voci di sintesi.

Vorrei vedere lavori adeguati alle persone comuni, piuttosto che super specializzati.

Vorrei vedere nuovi artigiani che sappiano fare del loro hobby un lavoro e operatori sociali che possano occuparsi davvero delle persone…

e vorrei che noi, proprio noi, riuscissimo a non accontentarci di sopravvivere in qualche modo, che il lavoro non è una cosa qualsiasi: il lavoro deve soddisfare perché occupa una perte molto significativa del tempo della nostra vita: quindi o è ben remunerato, o deve almeno piacerci. Ma poiché si tratta di lavoro, ossia quelle azioni che facciamo per ricevere un’entrata economica con la quale vivere, che sia pagato dignitosamente e non ci renda mai più suoi schiavi.

Ho esagerato, questa volta?

Può darsi.
Ma accontentarsi e subire significa mettere le basi per un’altra epoca di sfruttamento e sofferenza…

 

(Bastian Contrario per “Radio Pirata – la Radio nella Radio”
minipalinsesto in onda su www.yastaradio.com – puntata 216 in onda tra il 26 aprile  e il 2 maggio 2021)










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