Paflasmòs

martedì 5 settembre 2017

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28/08/17
26a Puntata: 
Radio Pirata - la Radio nella Radio
presenta:
Bastian Contrario_Quale onere, il vil denaro
Radio Pirata - la Radio nella Radio in onda su www.yastaradio.com
al Lunedì ore 19.00
in replica al Giovedì e al Sabato alle 11.00

Bastiàn Contrario:
"QUALE ONERE, IL VIL DENARO."
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"Ad esempio: il lavoro. Ma com’è possibile che ci siano persone che devono lavorare un mese o più per guadagnare quello che altre guadagnano in un giorno, pur pagando le cose di uso comune - come benzina, luce, telefono, medicinali - allo stesso prezzo? Che poi non si capisce perché, per contro, chi più ha più riceve onori, favori e riverenze...
E non sarebbe decisamente più sano, sotto tutti gli aspetti, cominciare a valutare stipendi più alti e orari ridotti, permettendo a un numero maggiore di persone di avere un lavoro?"
Ed ecco che anche Bastian Contrario leva le ancore! 
Dove vi porterò oggi con il mio bordeggio? Da dove partiremo e dove approderemo tra racconti, riflessioni e considerazioni?
Salite a bordo, aprite il cuore e lasciate alla deriva i pregiudizi...
perché oggi vi dirò...
Quale onere, il vil denaro, cari Pirati!”

La scuola è stato un passaggio obbligato per tutti noi: qualcuno l’ha affrontata con più leggerezza, superando con successo ogni compito in classe, interrogazione ed esame, magari arrivando a laurearsi a pieni voti, in un percorso talmente lineare da non essere nemmeno perfettibile: un po’ come lo slogan del vincere facile.
Per altri è stato un percorso ad ostacoli: continui intoppi, cadute affrontate con la caparbietà di non restare a terra, ma di guadagnare il tanto agognato bel voto, un tipo di percorso scolastico particolarmente vincente anche fuori dalla scuola: espediente per allenarsi all’elasticità mentale, alla capacità di analizzare le proprie carenze e difficoltà e ribaltarle escogitando sempre nuove strategie al fine di superare gli ostacoli e vincere.
Per altri ancora, la partita non è mai stata giocata: per alcuni la scuola non aveva nessun valore, se non quello di astenersi dal fare e provocare i propri insegnanti con comportamenti variabili dalla chiusura alla spavalderia attraverso la gamma completa delle sfumature: non voglio indagare i perché e i per come di questi comportamenti: alcuni ne soffrivano altri si divertivano proprio: di certo si astenevano dal partecipare alla propria formazione scolastica e dall’impegnarsi.

Ho cercato di delineare in modo sintetico ed essenziale le caratteristiche  di categorie di scolari, astenendomi, sia chiaro, da qualsiasi giudizio in merito al comportamento e alle motivazioni di ciascuno.
Mi sembrano tre categorie ben definite, un ventaglio completo di possibilità, non trovate?

Eppure, saremmo superficiali a non prendere in considerazione anche un’altro gruppo di studenti, mantenendo sempre il massimo rispetto per la vita e le capacità di ciascuno, che sono notoriamente soggettive e insindacabili. 
Parlo di quel famoso gruppo di studenti che ce la mettevano proprio tutta me non tiravano fuori un ragno dal buco: si sforzavano sempre nello stesso modo, collezionando voti bassi e creando voragini incolmabili nel loro rendimento scolastico. Non c’era verso, ripetevano sempre gli stessi errori, come se non riuscissero a sovrascrivere nuove nozioni e nuovi percorsi su quanto appreso in precedenza. Rigidi, monolitici, immutabili, inscalfibili e inarrestabili nel loro riproporsi uguali a se stessi con gli stessi errori uguali a sé stessi.

“Ma come mai oggi, eli the worst ci parla di scuola?”
Beh, è una domanda più che lecita... magari sento il fermento degli scolaretti che si apprestano ad affrontare la loro prima elementare con tutta la loro irrecuperabile ingenuità, fiducia e innocenza...
O sento il malumore adolescenziale di chi la scuola la vive come un male inevitabile e necessario, senza rendersi conto che più pone resistenza, più duro gli sarà arrivare in fondo..
O mi freme il ricordo della grande Maestra della mia vita, la mia famosa Mamma-nonna più volte citata..

No Pirati, niente di tutto questo.
Sto semplicemente pensando, “come sempre” mi accorgo, al nostro bel Mondo e alla gestione che ne viene fatta dai nostri politici ed economisti illuminati. Illuminati, si: da una lampadina!

Ho fatto un parallelo con la scuola, proprio per sottolineare che esistono modi diversi per approcciarsi alla medesima cosa: a volte funzionali, a volte assolutamente inefficaci.

Quando guardo dal basso della mia posizione di semplice cittadina scontenta di quel che vede, mi ribolle il sangue a osservare come si voglia a tutti i costi mantenere in piedi un grosso fantoccio molle e sgretolato che si accascia su se stesso da tutti i lati!

Quello che mi pare di capire è che si voglia mantenere in essere uno status quo che manco si capisce come possa essere sussistito fino ad ora.
Si continua a reiterare un comportamento economico, lavorativo, assistenziale e di tassazione che non ha i mezzi per farcela!

Ad esempio: il lavoro. Ma com’è possibile che ci siano persone che devono lavorare un mese o più per guadagnare quello che altre guadagnano in un giorno, pur pagando le cose di uso comune - come benzina, luce, telefono, medicinali - allo stesso prezzo? Che poi non si capisce perché, per contro, chi più ha più riceve onori, favori e riverenze...
E non sarebbe decisamente più sano, sotto tutti gli aspetti, cominciare a valutare stipendi più alti e orari ridotti, permettendo a un numero maggiore di persone di avere un lavoro?

Si, perché è davvero un grande paradosso, lavorare prendendo 10 per pagare 8 qualcuno che faccia cose per noi - come ad esempio occuparsi delle pulizie, dei bambini, degli anziani di famiglia - o che ci sostituisca come ad esempio nel caso degli asili nido, e poi magari queste stesse persone pagano 6 qualcuno che sostituisca loro stesse in altre faccende...
Senza considerare che, ad esempio nel caso dei figli, la migliore delle babysitter o delle maestre del nido, non potrà mai sostituire il legame fondamentale e formativo che c’è nei primissimi anni di vita tra la mamma e i propri figli!
O anche, meno visceralmente, la più brava delle collaboratrici domestiche, non potrà mai sapere che quel tal soprammobile, o quadro, o paio di pantaloni ha per noi un valore affettivo inestimabile da essere praticamente sacro!

Inoltre è un paradosso non avere tempo per crescere come persone o come famiglie: quando tutti si è occupati fuori casa senza un momento comune per incontrarsi, per stare insieme, e come si sostengono i legami familiari? Come si rafforza un nucleo di estranei di passaggio in un alloggio comune? Ci si preoccupa sempre dei più piccoli, è naturale ed è anche vero che molto della persona si forma nella più tenera età, ma agli adolescenti sembra non pensare mai nessuno.
E’ vero che sono inafferrabili, spesso incomprensibili, mutevoli, umorali, sconclusionati o troppo rigidi nell’interpretare il loro personaggio, ma è anche vero che dovrebbe sempre esserci qualcuno ad accoglierli o raccoglierli quando crescere diventa per loro troppo difficile.

Mi sembra già di sentirli, i commenti: ma dai, i giovanissimi d’oggi sanno benissimo cosa vogliono e soprattutto quello che non vogliono, in particolare i genitori fra i piedi. Ti faccio notare che sono anche troppo svegli!
Ineccepibile. Ineccepibile e vero. Ma noi che sulla nave pirata ci siamo tutte le settimane, sappiamo bene che per ogni bordeggio c’è poi la nostra baia in cui rigenerarci! 
Trovo che, adolescenti o no, dovrebbe essere ritenuto fondamentale avere un tempo privato, uno stand by, un tesoro di tempo potenzialmente disponibile per essere presenti con la mente, con il cuore, con le parole e anche con i silenzi, se servono, ma un tempo reale e non sbocconcellato tra i mille impegni, tra i mille ruoli, tra le mille preoccupazioni di una sopravvivenza così inarrestabile da non lasciarci nemmeno il tempo di mettere in archivio le nostre quotidiane esperienze, figuriamoci la loro elaborazione!
Ma dove stiamo correndo, tutto il giorno?
Per cosa?
Abbiamo ancora quel bene che un tempo si chiamava Vita?
O sono solo io a vedere persone che rincorrono costantemente i propri impegni e i propri doveri pratici ed economici?
Quando una donna, parlo di donne, per forza, in quanto tale mi è più noto il nostro vissuto,  
si alza alla mattina e deve già iniziare a correre, prima per sistemare se stessa perché un bell’aspetto è imprescindibile, poi la colazione e magari i letti o la lavastoviglie, a seconda dell’età e del numero, preparare i bambini e poi fuori di corsa mentre si sta ancora infilando una scarpa e controllando qualcosa sul telefono, servizio taxi per i cuccioli di famiglia, lavoro, pausa pranzo barattata con la spesa, con la palestra, con la visita medica, con la lavanderia, con la parrucchiera, con il dentista, e di nuovo al lavoro... i bimbi non si sa bene come ma miracolosamente guadagnano casa tra nonni e parenti - se ce ne sono - o la famosa babysitter. Fuori dal lavoro, la casa, la versione autoritaria di maestra per i compiti, per far lavare i denti, le docce  e mettere i pigiama mentre si prepara la cena e magari anche il pranzo pronto per l’indomani, una doccia e...crollo sul divano.

Ma? ... Ma aspetta, cosa mia aveva chiesto il piccolo? Perché il grande era arrabbiato? E’ domani che devo accompagnare mia madre dal dentista? Ecco, non ho fatto gli auguri a mio fratello... No amore, niente coccole, stasera, sono proprio stanca....

Sono esempi banali, avrei forse potuto anche farne di migliori, ma rendono l’idea.
Quando si vive davvero? O meglio: è questo quello che chiamiamo “vita”? Queste briciole rincorrendo sempre qualcosa senza nemmeno avere il tempo per fare il punto?

E per cosa? Un tempo mi rispondevo che era per comprare tutto e di più. Ora no. Ora comprendo che è così perché troppo spesso questo è il prezzo da pagare per mantenere un lavoro...lavoro che avrebbe invece il compito di essere quello strumento che ci consente di vivere.

E non esiste, o quasi, la via di mezzo. Si, c’è qualche part time, in giro. Ma il più delle volte la vita lavorativa erode la vita privata come le onde uno scoglio.

Ma non è il singolo essere umano la cellula della società?
Ma non è con le cure, la pazienza, le attenzioni e il confronto che si cresce come individui sani e stabili?
E chi dovrebbe elargire queste attenzioni se non il nucleo umano di riferimento, che sia o meno una famiglia cosiddetta tradizionale?

E in assenza di questa formazione...che società possiamo costruire, colmi di stress, di carenze, di fretta di crescere, di rabbia e insoddisfazione? 
... e la vita va avanti, eh? Mica si ferma da aspettarci... non è che un bel giorno ci si volti indietro e si raccolga tutto quello che si è lasciato ai margini per godercelo!
Eh no, la prima partita di nostro figlio, non tornerà mai. La telefonata che non abbiamo fatto al momento giusto  per consolare un amico, lascerà un vuoto. Il tramonto che non h guardato ieri, non tornerà mai più... Gli amici che lascio per strada, i ricordi che non costruisco o quelli che non radico dentro di me, le poesie che non scrivo, i quadri che non dipingo, i libri che non leggo, i baci che non ho dato....beh, quelli sono proprio persi per sempre. E mi chiedo ancora, per cosa?

E se noi, cellule della società siamo così sofferenti, non possiamo fare altro che entrare nel circolo vizioso che ci coinvolge tutti: come più volte ho ripetuto, non c’è azione che, consapevoli o meno, non influenzi  e si ripercuota anche nel nostro ambiente e se è vero che la serenità ci porta ad avere buona salute, buone relazioni e buoni comportamenti, è altrettanto vero che l’insicurezza, la rabbia, l’insoddisfazione ci portano nella direzione opposta. 
Avete mai pensato che questo malessere possa avere anche delle ripercussioni economiche negative a livello sociale?
Se ci pensate, significa che è più facile ammalarsi, fumare, bere e fare incidenti: azioni che hanno un costo a livello sociale poiché richiedono prestazioni sanitarie, così come prestazioni sanitarie di altro genere vengono assegnate a chi soffre di depressione o fa uso di droghe.
I comportamenti ribelli che portano all’illegalità, spesso più per mancanza di denaro che per reale volontà di delinquere o di frodare persone o stato, comportano spese per la sicurezza, o per la detenzione quando si arriva al limite...
E quando si va davvero oltre e si da sfogo alla violenza, beh, tutte queste sofferenze si scatenano contemporaneamente nelle  varie direzioni...con i relativi costi per la vittima, la famiglia della vittima, il reo e la famiglia del reo.

Non sarebbe dunque più saggio, e a questo punto anche più pratico, che lo Stato cercasse di far star bene i suoi cittadini, anziché prosciugare e esacerbare troppe esistenze?

E qui finisce che ritorniamo ai nostri politici così illuminati.
Si diceva, inizialmente, che ci sono ragazzi che a scuola non rendono e non renderanno mai perché non sanno inventare strade nuove.

Qui le strade percorse sono sempre le stesse, un po’ come quando Paperon de’ Paperoni  girava e girava e girava fino a fare il classico solco circolare nel pavimento.
Le tasse ad esempio: ma possibile che non ci si renda conto che più tasse svuotano i portafogli, meno la gente spende, più attività muoiono, meno lavoro c’è e più famiglie diventano indigenti e devono essere sostenute a spese dello Stato?
Non è un cane che si morde la coda?

E il lavoro vero e proprio?... e qui ritorno con il mio sdegno!
Possibile che negli ospedali ci siano più marmi e decori che personale e letti?
Possibile che l’attenzione sia sempre posta sulla merce in quanto oggetto che si produce, vende e getta, e non sul valore delle persone e dei servizi che queste possono generare?

Si investe di più a salvare una fabbrica di auto, con tutto quel che ne consegue in termini di sfruttamento delle risorse ambientali sia in fase di produzione che di utilizzo che di smaltimento, che in personale essenziale appunto per gli ospedali, ma anche per l’assistenza alle persone anziane o con particolari disabilità, o peggio ancora si risparmia sulla scuola!

Caspita, la scuola! Torniamo al discorso della formazione, dello strumento per creare una società sensibile, capace, creativa, aperta al confronto, alla collaborazione!
Ma avete mai pensato a quanto potrebbe cambiare in meglio il mondo se anziché porci come aguzzini ponti a castrare qualsiasi irregolarità ma anche l’iniziativa personale o la stravaganza, si fosse così lungimiranti da educare al civismo, alla tolleranza, all’empatia, alla collaborazione, al rispetto, al senso di responsabilità?

Avete mi notato che dove c’è collaborazione - e capacità di collaborare - c’è soddisfazione condivisa?

Certo, un percorso del genere richiederebbe un investimento iniziale in termini di tempo e di denaro, non indifferente, ma a mio avviso sarebbe una base esistenziale proficua per tutti nel tempo!
Proviamo solo a immaginare una situazione che credo sia capitata a tutti noi: il classico incrocio in cui qualcuno ci taglia la strada: la maggior parte delle volte la reazione è immediata: con un piccolo travaso di bile iniziamo a inveire più o meno calorosamente.
ma se chi guida ci fa un cenno di scuse, già iniziamo a spegnerci, per non parlare poi dell’immediata pacificazione se scopriamo che alla guida c’è un amico.
Eppure, la situazione è invariata: qualcuno ci ha tagliato la strada. Quindi, a cambiare le cose è solo la nostra disposizione d’animo.
E se fossimo sempre pervasi da una buona predisposizione d’animo, che ci permetta di non ammalarci di rabbia e di necessità di rivalsa, una predisposizione che  non ci faccia sentire come una cosa odiosa condividere le risorse nella consapevolezza della reciprocità?
Ah, se ci educassimo a questo star bene!!!
In ufficio oggi hai troppo da fare e io ho la scrivania sgombra, dai forza che facciamo insieme! 
Oppure se non dovessimo sempre aspettare che a fare siano gli altri... ci sono foglie sparse dal vento sulla strada? Perché non raccoglierle noi stessi invece di lamentarci se non passa l’operatore ecologico? Finiremmo con il sentirci anche parte di quel luogo, di quella comunità, anziché essere guardiani mordaci del nostro fazzoletto di terra trasformato in un’autocarcerazione! 

E per le piccole imprese? La situazione attuale prevede che chi desidera aprire un’attività debba sostenere un’incredibile quantità di spese a fronte di un’IPOTESI di guadagno.
Allestimento di luoghi preposti, con arredi, misure, permessi ecc ecc ecc. In quanti hanno fatto debiti, spinti un po’ dal sogno di realizzarsi e un po’ dalla necessità di inventarsi professionalmente che c’è oggi?
E quanti, poi, sono riusciti a far dignitosamente fronte agli impegni presi senza rimetterci?
Ho perso il conto di quanti hanno speso tutto per lavorare. Eppure, mi pare di ricordare che il lavoro dovrebbe essere fonte di guadagno, non di dissesto finanziario!

Immagino che non sia più né logico né fattibile cominciare con poco, con quel che si ha e fare piccoli passi in crescita. Non è trendy. Del resto, è molto più trendy la rovina finanziaria, mi pare!
Ecco, tornando ai politici. I politici dovrebbero dimostrare coraggio e dare una svolta, una svolta radicale. 

Quando ti senti dire che il primo anno di attività non paghi le tasse, attento: sono solo posticipate al secondo!
Politici: abolitelo davvero il primo anno! Oppure davvero, fate magari più controlli fiscali, ma sotto una certa soglia fino ad un reale avviamento smettete di chiedere: ci sono già le banche che lo fanno al posto dello Stato, perchè lo Stato mi ha già chiesto di investire non so quanto per adeguare lo spazio per lavorare, anche se lo faccio in casa...

E le Leggi, se volete che siano uguali per tutti, fate in modo che siano giuste per tutti!
perché invece, i bisogni e le risorse...non sono uguali per tutti!
E non è nemmeno vero che tutti truffano, come invece credete voi: anzi, sono spesso le vostre leggi a costringere qualcuno a evadere: gli studi di settore, ad esempio...vergognosi! Assolutamente paradossali perché invece di riflettere la realtà e verificarla, pretendono un’adattamento fittizio della realtà con relative pretese economiche...

Rituffandoci nell’ottica della collaborazione, anche andare a fare spesa nel piccolo negozio anziché  al centro commerciale sarebbe funzionale al sostegno della collettività: ma vuoi mettere quanto è più comodo il centro commerciale? Salvo poi non riuscire a trovare lavoro per sé o i propri cari perché stanno chiudendo tutte le piccole attività, divorate dai mostri delle multinazionali che rimpinziamo giorno dopo giorno con cura e dedizione: ma se fossimo noi stessi i titolari della piccola libreria che sta chiudendo, o del negozietto per animali che ormai sta svendendo tutto, saremmo grati a chiunque evitasse il centro commerciale e venisse a far spesa da noi...ecco la comunità, la solidarietà, li benessere condiviso, il senso civico! E non è mica assistenzialismo, una cosa così! Solo rispetto e sostegno per la vita di un altro che, a sua volta potrà trovare il modo di sostenere la nostra per la sua parte...

Sono talmente tante le cose che vorrei aggiungere a questo tema, vedo la vita così lontana dal denaro e vicina alle persone che potrei parlarne per giorni. Ma per chiudere  sintetizzando, credo che basti ricordare che anche una casa, quando è troppo vecchia, si smette di rattopparla e si abbatte, ricostruendola da capo. Ecco, la nostra economia dovrebbe subire la stessa sorte, per non anteporsi mai più all’Umanità e ai suoi bisogni.

eli the worst.

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