Paflasmòs

domenica 22 aprile 2012

Più Umanità e meno macchinari



Il momento della crisi, il momento della disoccupazione. 
Certo, questi sono due dati di fatto concreti e sotto gli occhi di tutti: quello che manca troppo spesso, è invece la capacità di cambiare il punto di vista dell’osservazione.

Le fabbriche chiudono, gli imprenditori più fortunati si spostano all’estero, il commercio non sa più cosa inventare per far invogliare le persone all’acquisto....


Premesso che il mio intento è di mantenere alta la considerazione e il rispetto per tutte quelle persone, me compresa, che si trovano a dover rifare in conti in tasca e rivedere molte delle proprie priorità, quando non addirittura delle prime necessità, sto cercando di compiere lo sforzo di osservare come stanno le cose in una visione collettiva un po’ diversa.

Partiamo da un punto diverso riguardo alla crisi: sostanzialmente noi ci barcameniamo in gran part sul commercio di beni, i quali possono essere di ogni natura: dagli alimenti, con relative confezioni, al vestiario, con relativi trasporti e con grosse giacenze di magazzino, alla tecnologia che scade più in fretta del latte fresco e va sostituita, alle vetture e ad ogni cosa che costituisce il nostro ambiente materiale.

Certo, un quantitativo i questi prodotti ci sono indispensabili, meglio se anche qualitativamente validi.

Facciamo un altro passo indietro e osserviamo da una prospettiva più ampia: tutti sappiamo che la nostra epoca è quella del consumismo: una parola a mio avviso già tristissima per il significato implicito: “la gara al consumo, la gara al prosciugamento” E non è forse questo che abbiamo realizzato?

Abbiamo consumato la Terra e gli Uomini e Donne che la abitano. Abbiamo trasformato risorse preziose in rifiuti e sostanze tossiche. Abbiamo quasi sicuramente più rifiuti che prodotti....

Intanto avremmo dovuto fermarci prima: esiste un principio della chimica che si chiama saturazione: si tratta di quando il legame tra due elementi arriva ad un punto in cui, se aggiungessimo ancora uno dei due, non troverebbe l’altro con cui accoppiarsi.

Bene, direi che la saturazione del mercato c’è da parecchio tempo: nelle nostre case abbiamo tutti più beni di quanto non riusciamo ad usare. 
La maggior parte di noi acquista più facilmente per il piacere di farlo, che per un reale bisogno da soddisfare. 

Tuttavia, essendoci ormai troppa offerta di tutto, sia come quantità di prodotti, sia come numero di rivenditori, essendoci una rapidità di produzione inversamente proporzionale alla necessità di un successivo acquisto, era, secondo me, fin troppo prevedibile che ad un certo punto ci fosse un frazionamento delle risorse tale da diventare troppo poco per tutti!

E non mi spiego, se non con un’ amaro pensiero di intenzionalità, come i grandi economisti non abbiano creato allarme per questo sistema.

Bene: dato che un commercio si basa sull’equilibrio tra offerta  e richiesta, guardandoci intorno, cosa vediamo? 

Io vedo un sacco di persone che dedicano la loro vita, me compresa, a fare cose di carattere culturale e sociale  non retribuito: compagnie teatrali, volontari per l’assistenza alle varie fasce deboli, professori che si prestano a tenere conferenze anche gratuitamente pur di far circolare conoscenza, musicisti in erba che suonano a condizioni assurde pur di poter dar spazio alla loro musica e hanno un pubblico.

A questo punto: se produrre scarpe piuttosto che infissi d’alluminio o costruire case (10000 sfitte a fronte di circa altrettanti in costruzione, qui a Verona, ad esempio) non ha più commercio, con la conseguenze perdita per il dipendente, per il rivenditore, per il produttore, per il fornitore di materie prime.... PERCHE’ CONTINUARE A PRODURNE COSI’ TANTI?

Certo, capisco che parte delle fabbriche sarebbero destinate a chiudere: ma non lo sono lo stesso se non trovano il modo di reinventarsi esse stesse? 

Se i volontari già presenti sul territorio, venissero riconosciuti come lavoratori socialmente utili? Se parte degli attuali disoccupati venisse formata per servizi alla persona? Se chi è educatore, insegnante, animatore si trovasse ad avere un mestiere riconosciuto valido e magari anche un po’ meglio retribuito? 
Tra l’altro, credo che, sebbene per certe occupazioni sia indispensabile un certo tipo di preparazione, penso che anche in questa fascia di occupazione ci si possa regolare un po’ come con gli operai, passando dai generici agli specializzati, dando così anche una possibilità di lavoro e di messa in regola a tutta quella fascia di lavoratori in nero che svolgono mansioni domestiche e simili.

Insomma, sto cercando di dire e farvi vedere che il mercato non può essere visto e calcolato solo in termini di commercio di beni, esempi lampanti li danno Medici ed Avvocati, le cui prestazioni sappiamo bene quanto sono retribuite. Eppure non vendono oggetti....

Cerchiamo di osservare col nostro cuore quali sono davvero i nostri bisogni, cerchiamo di pretendere che non si continuino ad aprire negozi, forti solo quando appartenenti a catene o a multinazionali!

Pretendiamo più infermieri, più maestre, più badanti, più animatori, più segretarie e non segreterie, più Umanità e meno macchinari.....

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