Paflasmòs

domenica 5 novembre 2017

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30/10/17
35a Puntata: 
Radio Pirata - la Radio nella Radio
presenta:
Bastian Contrario_Il limite della cultura
Radio Pirata - la Radio nella Radio in onda 
Lunedì ore 19.00 su www.yastaradio.com 
Lunedì ore 21.00 su Radio RCS 
(91.5fm Basso lago di Garda e 98.6fm Bassa Veronese e Lessinia)

in replica al Giovedì alle 11.00 su www.yastaradio.com
in replica la Domenica alle 23.00 su www.yastaradio.com

Bastiàn Contrario:
"IL LIMITE DELLA CULTURA"
per l'ascolto clicca QUI

clicca su "Continua a leggere...»" per il testo
"Anche in questa altra parte della mia vita ho incontrato persone di cultura.
Ma la cultura che ho incontrato poi, era una cultura che colava dall’alto, come il moccio dal naso.
Una cultura statica, di forma, di carta, dove per carta intendo il titolo accademico drappeggiato sul vuoto umano."


E dalla Baia dei Pirati di yastaradio.com, portati dall’Onda veronese di Radio RCS, leviamo di nuovo le ancora per incontrare voi, nostri compagni di viaggio, Pirati di Terra che con le vostre scialuppe ci seguite affezionati nel bordeggio...
Noi tutti, Pirati della Ciurma di Radio Pirata - la Radio nella Radio, siamo sempre felici di accogliervi a bordo!

Come sempre, da brava Bastiàn Contrario, mi trovo a osservare le cose, quelle cose che sembrano talmente ovvie da poterle credere sempre esistite e immutabili. 
E come sempre, osservando queste situazioni, mi trovo a pensare che esista sempre almeno un altro modo per leggerle, interpretarle e subirle o trasformarle.
Oggi, dove vi porterò con il mio bordeggio? Da dove partiremo, ma soprattutto, dove approderemo tra racconti, riflessioni e considerazioni?
Salite a bordo, aprite il cuore e lasciate alla deriva i pregiudizi...
Come più volte ho accennato, provengo da una famiglia in cui maestre e professori si sono sprecati, per numero. 


Ho avuto come modello indiscusso quella grande donna ,che fu Maestra, di mia nonna Materna, donna di inizi ‘900 riscattata dai condizionamenti sociali e dalla meschinità del pregiudizio, indipendente, forte oltre misura, solido e fertile terreno sul quale far crescere senza bigotte restrizioni i suoi tre originali figli: dallo zio già citato altre volte, portatore di grave handicap fisico ma incoraggiato fino alla laurea, all’indipendenza, all’incontro con personalità della cultura come furono ad esempio Pasolini e Dario Fo, viaggiatore curioso e profondo conoscitore della Grecia Antica, scrittore generoso e riconosciuto, alla zia, evanescente artista, appassionata di fiori, animali, pennelli, decori e soprattutto di curiosa umanità in tutte le sue sfumature e nazionalità, a mia madre, libera già agli albori della nuova legge, di ricorrere ingiudicata al divorzio.


Corollario di tanto fermento, erano parenti prossimi che spaziano dall’insegnamento elementare, al giornalismo, alle scoperte scientifiche, alla pittura d’alto livello.




Sono cresciuta scrivendo poesie, ospite bambina di cenacoli di poesia, giocando a far l’attrice, seguendo con stima e affetto un’ottima insegnante, Gloriana, e partecipando come assistente ai seminari tenuti dallo zio, approdando al Dams di Bologna con tutti i suoi percorsi paralleli di letteratura, teatro, regia, musica, pittura e fumetti, dando banalmente per scontato che tutte le Vite fossero intrise delle stesse fragranze.



In questi ambienti di persone dalla mente effervescente e aperta, che frequentavo senza una reale motivazione, ma con spontanea naturalezza, assorbivo quotidianamente un senso di “possibile” e di piacere per la Vita e i suoi innumerevoli colori.




Erano così tanti i sogni e le storie di Vita che si intrecciavano, tanto il coraggio e la pressante necessità di trovare uno spazio unico e irripetibile per ciascuno di noi, che mai avrei potuto credere a priori che vivere e soprattutto fare cultura, fosse qualcosa di diverso dalla celebrazione della Vita in tutte le sue espressioni e varietà.


Non mi rendevo conto che ero davvero nell’epoca d’oro della mia Vita.

Godevo di un ambiente che faceva del proprio nutrimento la cultura e ne era appagato: una cultura che si esprimeva a più livelli, stratificati per natura e per manifestazioni: era una cultura che spaziava: era nel momento gioviale del musicista autodidatta, era quella contadina che parlava attraverso riti quasi magici e proverbi radicati nella Natura, era quella che si espandeva nell’amplesso creativo dell’incontro di nuove forme, idee e colori era quella che permetteva di esprimere modi soggettivi di sentir scorrere la Vita, tutti egualmente degni tutti egualmente accettabili, era comunque una cultura che NON negava. 

Sto provando, mentre scrivo a cercare di valutare in quale ambiente, più precisamente, si manifestasse: ma mi sembra di capire che il comune denominatore fosse fatto di due parti: una che sosteneva e approvava comunque tutto ciò che dava respiro e sostegno alla Vita e alla libertà, e l’altra che si manifestava nell’assenza di preoccupazioni economiche o di riconoscimenti sociali: non vuol dire che si fosse tutti ricchi o benestanti, ma che si era complici anche in quello: condivisione di cibo, di spazi, di beni e di benefici: ossia una cultura che SOSTENEVA in modo pratico e morale la Vita.

Poi si cresce, a volte si prendono direzioni diverse, proprio perché inconsapevoli della grande fortuna di cui si gode, la si abbandona senza nemmeno dire “grazie”, e con la stessa inconsapevolezza si inizia a battere nuovi sentieri.

Nella Vita, nulla mai è superfluo o fine a se stesso, se solo lo si osserva con un po’ più di curiosità anziché di pregiudizio...e allora, anche fare dei cambiamenti radicali, dovuti a quelli che sembravano essere motivi indiscutibili, permette comunque di scoprire nuovi aspetti dell’esistenza.
Abbandonare quella realtà che troppi definiscono senza basi e senza valore, quando invece fa sentire l’intenso sapore di una Vita che non si lascia sfuggire un solo istante di se stessa, è stato come trovarmi avvolta dalle spire di un boa constrictor: ho iniziato a frequentare persone che non sapevano volare, ma soprattutto che pensavano che volare fosse una cosa sciocca, inutile  e intrinsecamente sbagliata e che mettevano sulle proprie spalle e su quelle degli altri pesanti carichi di insoddisfazione, di stanchezza, di amarezza...creando una stasi cronicizzata.

Anche in questa altra parte della mia vita ho incontrato persone di cultura.
Ma la cultura che ho incontrato poi, era una cultura che colava dall’alto, come il moccio dal naso.
Una cultura statica, di forma, di carta, dove per carta intendo il titolo accademico drappeggiato sul vuoto umano.
Persone che si gonfiano la bocca e le guance e lo stomaco per essere sufficientemente tronfie quando si titolano del prefisso “professore”, persone che anziché utilizzare la ricchezza degli insegnamenti dei grandi del passato, ne fanno solo sfoggio inconsistente come un ologramma che può anche impressionare ma resta inesistente, persone che utilizzano la loro presunta cultura - e utilizzo la parola “presunta” perché per me tutto ciò che crea distanza non può essere cultura! - per ergersi con arroganza su autocelebrativi  piedistalli dai quali se la raccontano e se la fanno tra di loro, vomitando titoli, smorfie e salamelecchi viscidi e opportunistici.




Ho davanti ben più di una di queste persone, mentre ne parlo.

Mi vengono i brividi a ricordarle. 

Avete mai avuto tra le mani un nido di vespe in disuso?
Sembra un involucro di velina che appena lo tocchi, si sfonda.
Ecco, questo mi sembrano, questo tipo di personaggi: inconsistenti involucri d’aria.
La loro arroganza che sostengono perché il “sapere” li fa sentire superiori, li fa agire senza il minimo rispetto per gli altri che non siano loro pari: chi non può far vanto di titoli, anche se magari è una vera miniera di consapevole sapere, è per loro una collosa caccola della quale liberarsi al più presto o un robot cui rivolgere comandi.

Sono state queste persone che a un certo punto della mia vita, mi hanno fatto avere un vero e proprio rifiuto per ciò che chiamiamo cultura: se io parlo e tu non mi capisci, se dico cose che non ti permettono di entrare in sintonia con me, se non ti do conforto quando ne hai bisogno o non ti metto nelle condizioni di esprimerti e di sentirti accolto e capito, se davanti alla tua evidente difficoltà di capirmi, io mi faccio forte del mio sapere e mi nascondo dietro ad esso senza nemmeno cercare di arrivare a te, a cosa serve che io sia colta e titolata?
Se il mio sapere non è utile a tutta l’umanità, non diventa strumento condiviso, a cosa mi serve sapere?



Ma probabilmente il “sapere” non ha la stessa sostanza della cultura: se cultura deriva dal concetto di coltivare, leggo al suo interno l’azione che induce a una crescita e a un risultato, mentre il “sapere” può rimanere asettica astrazione: Coltivo la terra e ottengo del cibo, So come si coltiva la terra, ma se non agisco, non succede nulla... 


A questo punto mi sembra tristemente doveroso prendere in ballo il clero, i grandi sacerdoti delle varie religioni, religioni che al giorno d’oggi non sono più necessariamente spirituali: abbiamo i sacerdoti della scienza, dell’economia, della politica, della medicina...
Ecco, dunque, a cosa serve sapere, quando non se ne fa cultura! 


Serve a manipolare chi non ha la fortuna di accedere al sapere, anzi lo si utilizza per soggiogare e avere in proprio potere chi ignora il funzionamento di determinate cose, esattamente come quando chi sapeva leggere e scrivere poteva approfittarsi di chi era costretto ad affidarsi più o meno incautamente a chi lo sapeva fare!  


Il sapere, e i suoi santoni, si prodigano per allargare i confini della conoscenza, dicono. Ora sappiamo una marea di cose e di regole che governano la materia, lo spazio e il tempo. Si può dire che siamo arrivati a spaccare l’atomo in mille: e tutto sommato per come la vedo io è una gran stronzata.

Ma crediamo davvero che passare la Vita ad esercitare il controllo sulla Vita e le sue leggi, arrivando a morire essendoci dimenticati di vivere sia un vantaggio?

Personalmente sono sempre più convinta che vivano molto meglio quei pochi animali superstiti malgrado la vorace presenza dell’uomo sulla Terra: vivono secondo la loro Natura, appagati del loro cibo e del loro agire nel loro tempo di Vita, senza ansie, senza necessità di organizzare la vita ad altri e senza sentirsi schiacciati da organizzazioni non richieste. Muoiono sereni dopo aver vissuto una serena vita.

C’è stato  davvero, per me, un momento in cui la cultura mi è parsa superflua e quasi l’ho combattuta, perché sbagliando la identificavo appunto con questo famoso, sterile e arrogante sapere.
Ma ora, più guardo a chi governa il Mondo, e a chi ci governa - fermo restando che purtroppo rappresentano davvero l’Italia più mediocre - tanto più mi aggrappo a un recupero di cultura umanistica e umanitaria, quella di cui raccontavo prima, quella che pone l’Uomo e il suo vibrare al centro delle attività e della realizzazione della propria Vita!


Non se ne può più di questa presunzione di universalità che tutti vogliono applicare a tutti e a tutto!

Ogni giorno salta fuori il genio che “decide”, neanche “pensa”, “decide!” cosa è bene per tutti, in modo insindacabile e senza eccezioni. 


Checché ce lo facciano credere, nessuno di noi è il clone di un altro, nessun abito vestirà mai nello stesso modo due persone diverse, nessuno avrà sogni e aspirazioni identiche a un altro o le stesse paure o gli stessi identici valori e priorità, nessuno sarà mai sensibile in modo identico allo stesso tipo e quantitativo di peperoncino!

Dobbiamo - ma dobbiamo davvero! - è imperativo, riappropriarci del diritto alla nostra fantasia, alla cultura collettiva e condivisa, all’apertura verso altre forme di pensiero e di impostazioni di Vita: la Vita non procede mai sulla riproduzione identica di sé, ma sulla somma delle diversità: per fare un figlio ci vogliono un uomo e una donna, o almeno un ovulo e uno spermatozoo, la sopravvivenza della specie avviene perdendo quelli che Darwin definì i caratteri recessivi a favore di quelli dominanti più funzionali. Anche per costruire una casa servono persone che svolgano mansioni diverse. 
Come possiamo pensare che sia nell’essere tutti identici tra noi che la Vita possa continuare sulla Terra come nell’Universo? 

Confidando di continuare ad agire in salvaguardia dell’imprescindibile unicità del singolo e coltivando la cultura nel suo senso più ricco, vi rinnovo l’invito ad essere sempre pronti a salpare con noi: il lunedì con la nuova puntata alle 19.00 su yastaradio.com o alle 21.00 su Radio RCS 91.5 o 98.6 in fm e con le repliche del giovedì alle 11.00 e della domenica alle 23.00 su yastaradio.com

Per quanto riguarda i miei bordeggi, sono tutti raccolti sul blogspot di Elena Furio, pronti ad essere riascoltati o letti ogni volta che vi va!

Un grazie di cuore a voi Pirati di Terra e a tutta la Ciurma che sostiene la navigazione di questa Radio Pirata - la Radio nella Radio!

...la vostra eli the worst!

      


NUOVA PUNTATA 

        Lunedì ore 19.00 yastaradio.com 
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oppure... dal podcast di www.radiorcs.it









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